Pastori nel Cuore di Cristo

Storia vocazionale di mons. Antonio Morabito tratta dal libro:

PASTORI NEL CUORE DI CRISTO

 

Il prete è un uomo

Il sacerdozio si fonda sul Sacramento dell’Ordine, istituito da Cristo nel giovedì Santo: l’Eucarestia e il Sacerdozio.

Solo il Vescovo, Ordinario del luogo, può  imporre le mani sul candidato al Sacerdozio che, dopo aver completato gli studi teologici  e,  comunque,  aver  vissuto  gli anni del Seminario, scuola di vita e di  formazione  per il presbiterato.

Tuttavia, il Sacerdote è un uomo, come tutti gli altri, che, però deve fare la scelta di non sposarsi.

Per la scelta celibataria è importante la sequela in Gesù uomo e Dio.

“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”

(GV 15,16).

 

Il celibato ha senso ed è possibile solo se si ama Gesù  al di sopra di ogni altro amore terreno.

“Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno  di me” (Mt 11,37-39)

Questo amore di Gesù per la mia persona ha superato gli altri amori, soprattutto quello verso la famiglia. Mio padre era contrario affinché io seguissi la via del sacerdozio, poiché ero come figlio unico in una genealogia che con me, nonostante avessi due sorelle, chiude il ramo della mia secolare famiglia.

Oltretutto, durante la seconda guerra mondiale, nel fronte greco albanese, era morto il fratello di mio padre a soli 21 anni; quando nacqui, mi ha dato il suo nome, con la più grande gioia dei nonni e degli zii, per cui risultai il preferito della parentela.

Tuttavia, delusi queste aspettative, sin dai miei quindici anni, mi dedicai quasi esclusivamente alla Chiesa.

Organizzando attività continue sia in campo educativo che sportivo, come si faceva una volta nelle parrocchie e in Azione Cattolica.

Nacque così la vocazione alla Chiesa con l’arcivescovo mons. Ferro che mi voleva, come Padre, ogni sabato sera in Episcopio, a parlare, e confessarmi.

Dice il Signore, chi vuole stare con me rinunci a se stesso prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.

Antonio Morabito Diacono della Chiesa di Dio. Cattedrale di Reggio Calabria, 11 aprile 1979(1)

 

 

Il Prete è un uomo per gli altri

Sentii sempre forte in me una carica umana che mi portava ad aiutare gli altri, disperdendo una quantità di energie enormi. Sin da giovane, trascurando a volte gli studi, sia al liceo che all’università, a favore di casi umani di povertà economica e di abbandono.

Per questo, dopo l’Azione Cattolica ai miei 19 anni seguii l’esperienza di un prete straordinario, dedito ai poveri, come anche ai disabili ed agli handicappati di lieve grado, don Italo Calabrò, cofondatore della Caritas Italiana negli anni ’70, e Vicario generale dell’arcidiocesi dal 1974 fino alla morte improvvisa nel giugno 1990.

 

San Giovanni Paolo II e Mons. Antonio Morabito dopo l’Ordinazione Sacerdotale avvenuta nella Basilica di San Pietro il 24 giugno 1979

 

A quel tempo c’erano ancora le strutture dette “manicomi”, non solo per gli ammalati psichici, ma anche per i giovani che, dopo i diciotto anni, se non avevano nessuno che li curassero, con handicap lievi o gravi, andavano in manicomio.

Ecco che, don Italo che aveva scelto una delle parrocchie della diocesi più difficili per arretratezza economica e fenomeni di ‘ndrangheta, mise cinque giovani handicappati di lieve grado o medio nella Canonica di San Giovanni di Sambatello.

Iniziò così la “Piccola Opera Papa Giovanni XXIII” in cui aderirono “in primis” alcuni giovani studenti dell’Istituto Tecnico Industriale “Panella” di Reggio Calabria, dove Don Italo era insegnante di Religione. “Piccola Opera Papa Giovanni” è sorta a “San Giovanni di Sambatello con i giovani di don Italo a favore dei disabili. Ora la struttura comprende opere di livello nazionale ed internazionale, come Case Famiglia ed un Centro Tripepi Mariotti che è stato inaugurato a Reggio dal Presidente della Re pubblica pro tempore Giorgio Napolitano.

Io mi occupavo di persone singole, all’interno di alcuni casi, tra i quali un giovane vago mancante di d’identità e rimandato a don Italo dal Tribunale dei Minori di Reggio Calabria affidandomi altri casi impossibili presso la c.d. “Casa dello studente”, che si palesava un vero e proprio alloggio per ragazzi in grave disagio.

Don Italo ha avviato un dialogo con l’esperienza di Comunione e Liberazione con campi estivi di Trento e Rovereto con sacerdoti e famiglie che hanno dato grandi testimonianze.

 

La Sig.ra Elvira col figlio Antonio; in lei vi è la sofferenza del male oncologico negli ultimi mesi di vita,ma anche serenità e Amore.

 

In seguito ho preso parte attiva, come membro della Direzione di Comunione e Liberazione per la Calabria.

Ad un certo punto della mia vita mi accorgo che stando a Reggio non avevo tempo per studiare, ma solo per aiutare gli altri attraverso una generosità senza limiti di tempo, attendendo e dissipando per gli altri i soldi che ricevevo.

Mi decisi di iscrivermi a Ferrara, continuando Giurisprudenza, dove risiedevo in un pensionato studentesco dei Salesiani. Stando chiuso in un Collegio-pensionato, finalmente ho il tempo di concludere con un forcing di studio e vita personale.

Ma in questi anni di Ferrara c’è la svolta del sacerdozio ministeriale.

Frequento Comunione e Liberazione a Bologna, con  un sacerdote di Forlì, don Francesco Ricci, che svolgeva    il ruolo della più importante figura culturale e missionaria di C.L. nel mondo. Faccio un percorso di circa due anni e vengo orientato tra coloro che scelgono una speciale vocazione. L’incontro, quindi, in uno dei ritiri spirituali con il fondatore carismatico don Luigi Giussani, che mi aprì ad una dimensione universale di Chiesa.

Egli mi disse le famose frasi: …“Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!…Poi aggiunse: In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.

…All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno…Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e   lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù…Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. (Lc 4,21-30)

 

La figura di Gesù fu suprema nel discernimento vocazionale al di sopra di ogni altro amore. Le proposte erano di rimanere come responsabile della Comunità di Ferrara, oppure in Brasile nell’Università Cattolica di San Paolo, dove c’erano docenti e famiglie di C.L. di Milano.

Prevalse l’orientamento del discernimento con il Vescovo di Reggio, che rimase il Padre Spirituale, ma anche quello, che più che ogni altro mi aveva mostrato la paternità di Dio. Più volte ho visto Mons. Ferro parlare con Dio come con una persona; durante la confessione parlava con Dio mentre io parlavo con Lui.

Nessun dubbio ebbe Mons. Luigi Giussani, che venne per la mia prima Santa Messa al Duomo di Reggio Calabria facendo una memorabile Omelia e, poi, in Auditorium San Paolo, e insieme una festa all’Istituto Don Orione, con i giovani appartenenti a Comunione e Liberazione della Calabria.

Il prete appartiene alla Chiesa

Alla fine del discernimento sul Sacerdozio dopo le parole del Vescovo Mons. Ferro: “Io ti aspetto a  Reggio, sono io tuo Padre” ritorno con una laurea in giurisprudenza, da Ferrara. Iniziò una evangelizzazione fortissima come responsabile di C.L. con studenti della provincia di Reggio e membro della Direzione Regionale, a Cosenza, dove c’era un forte insediamento di Comunione e Liberazione: docenti di Arcacavata, di Rende, tante famiglie e consacrati provenienti da Milano per una Pastorale Universitaria.

Vengo ammesso all’Istituto Teologico dei Salesiani, al San Tommaso di Messina, dove ho svolto tre anni molto intensi e, poi a Catanzaro, al Teologico San Pio X, dove fui accolto con molta fraternità dal Vescovo rettore mons. Serafino Sprovieri, che mi accoglie personalmente e mi ospita in una stanza grande, da solo, vicino alla Biblioteca. In modo assolutamente inaspettato e sorprendente a Maggio del 1979 vengo avvertito da Mons. Calabrò, vicario generale per conto dell’Arcivescovo mons. Aurelio Sorrentino che papa Giovanni Paolo II teneva a ordinare Sacerdoti dei Seminari Pontifici nel suo primo anno di

Pontificato.

Fu così che potei andare solo io, per mandato del Vescovo, e siamo stati ordinati 88 sacerdoti di ogni parte del mondo.

Era il 24 giugno 1979: in qella occasione venne don Italo, presente alla cerimonia, nella Basilica San Pietro in Vaticano, insieme ai miei familiari e qualche amico Seminarista.

È iniziato così il forte impatto di Sacerdote nella chiesa di Dio che è in Reggio Calabria. Dopo sette giorni, è prevista la Prima S. Messa in Cattedrale a Reggio.

Mons. Luigi Giussani tiene una memorabile Omelia che, apre un dialogo interessante del sacerdote all’interno del Movimento, ma fui impegnato a tempo pieno nella mia Diocesi e come Parroco dopo e quindi  impedito  di seguire Comunione e Liberazione.

È presente Mons. Ferro, Vescovo Emerito, che assiste, anche se colpito da un ictus cerebrale.

Sono presenti circa 600 persone di C.L. venuti da tutta la Calabria con vari pullman e dopo la liturgia, festa fino a tarda sera offerta dai miei familiari presso l’Istituto Don Orione.

Dopo 15 giorni dal sacerdozio l’Arcivescovo Mons. Sorrentino mi invia come parroco a Laganadi e Sant’Alessio, cui dopo due anni si affianca Podargoni.

Tutto vero, dal Vaticano all’Aspromonte.

Siamo in ritardo di oltre cinquant’anni e oltre dal cambiamento pastorale, ma senza riferimenti che vi fu un Concilio Vaticano II.

Dopo tre anni, ottengo autorizzazione a intraprendere gli studi di Diritto Canonico presso la Pontificia Università del Laterano a Roma.

Sono il primo sacerdote Reggino che, pur essendo parroco, vado per studio a Roma con la garanzia che non potevo rimanere là.

Di fatto, era come ritornare a prima del Sacerdozio: studio e lavoro pastorale.

È stata una sfida indicibile, ma ho finito nei cinque anni di Corso, il dottorato in Diritto Canonico.

A Sant’Alessio in Aspromonte ho fatto finanziare e concludere una Casa Canonica, ma anche saranno tre le chiese restaurate, distanti quattro chilometri l’una dall’altra: la domenica mattina celebravo tre messe: Laganadi, Podargoni, S. Alessio.

Ho trovato il tempo persino per andare un anno a Calanna perché quel sacerdote aveva chiesto la riduzione allo Stato laicale avendo deciso di lasciare il Sacerdozio.

Era anch’egli un bravo sacerdote, discepolo di don Italo e della Caritas diocesana.

Da lì a qualche anno avrebbe lasciato un confratello ancora più vicino, del mio stesso corso di studi e sempre per formare una famiglia.

È la crisi del sacerdozio sembrava dominare: l’età media dei Sacerdoti era molto elevata, e molte parrocchie restavano senza cura pastorale, per cui anch’io ho sopperito a ben tre parrocchie contemporaneamente agli studi Romani.

Nel 1984 per elezione vengo nominato membro del Consiglio Presbiterale Diocesano ed eletto Segretario.

Inizia così, l’invidia e la gelosia, sovrana più che l’amore tra i confratelli.

Nel gennaio 1987, vengo mandato a Reggio, presso la chiesa del Santissimo Salvatore in un’atmosfera di contestazione per la scarsa credibilità del vecchio parroco mentre lobbies formano una cortina di “fumo” rispetto alla mia candida figura di sacerdote.

Fatto sta che anche in questa parrocchia c’è una crisi profonda pastorale di decenni e manca soprattutto il completamento della nuova chiesa. La Santa Messa si svolgeva al piano terra, in mezzo a tante difficoltà con arredi fatiscenti.

A livello diocesano, Mons. Aurelio Sorrentino ha stabilito il XXI Congresso Eucaristico Nazionale, che si sarebbe dovuto svolgere il 21 giugno 1988 alla presenza di tutti i vescovi d’Italia e del Santo Padre Giovanni Paolo II. Era consuetudine che si sarebbe dovuta realizzare un’opera sociale del Congresso stabilita per la Casa per Anziani non autosufficienti.

Mons. Calabrò Vicario Generale, che era anche mio Padre Spirituale, mi invita a trovare finanziamenti per l’Opera del Congresso e la Chiesa del Santissimo Salvatore, come rappresentante del Comitato Promotore del Congresso.

Si trattava quindi di un’opera impossibile perché chiudere i ponti di mancati finanziamenti per la chiesa e di un’opera ex-novo si poteva realizzare solo con l’aiuto della Divina Provvidenza.

Con il giovane Assessore ai Lavori Pubblici e, successivamente Sindaco della città, Agatino Licandro, oltreché amico personale, che tempestavo ogni giorno per un intervento sostanziale dell’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria.

Dopo tante peripezie in cui mi imbattevo tra la famiglia Licandro, l’Assessorato ai Lavori Pubblici, i risvolti del Decreto Reggio, il Provveditorato alle Opere Pubbliche alla Calabria, la Regione Calabria, l’Ente provincia di Reggio Calabria, approfittando anche della mia laurea in Giurisprudenza, concordammo una Delibera che utilizzava i fondi della legge Bucalossi 1971, che prevedeva gli “oneri di urbanizzazione secondaria” a fini sociali.

Con gli “oneri di urbanizzazione residuaria” delle casse comunali fu realizzata, dopo un anno di preparativi il 12 aprile del 1989, una delibera di quattro miliardi, mai stata realizzata in passato, venivano dati alla Diocesi per il Centro Giovanni Paolo II e di questi cento milioni, dei quattro miliardi, venivano dati alla parrocchia del Santissimo Salvatore, gli unici che potevo gestire come parroco, per la riprogettazione di una chiesa che era ancora nel salone.

Come inizio, niente male.

Sono stato onorato per la scelta della ditta  costruttrice e per la presentazione dell’Opera, davanti all’Arcivescovo Sorrentino, il Vicario, l’Economo, il Prefetto, il Sindaco e il Procuratore della Repubblica, per un’opera che si concluse dopo circa due anni di lavori.

In soli due anni e mezzo si conclusero le seguenti opere: i lavori per la nuova Chiesa parrocchiale, i cui lavori erano iniziati nel 1959; l’Opera del Congresso Eucaristico; Casa per Anziani di cui un piano dell’edificio adibito per l’ospitalità delle ragazze madri.

Nel 1990, nel mese di giugno, purtroppo muore improvvisamente mons. Italo Calabrò, lo stesso giorno che Mons. Aurelio Sorrentino doveva lasciare la Diocesi per conseguiti limiti di età.

Il 28 settembre 1990, la Diocesi viene affidata a Mons. Vittorio Mondello, che compie la “dedicazione” della nuova Chiesa del Santissimo Salvatore gremita fino all’esterno e con la presenza di Agatino Licandro, Sindaco di Reggio Calabria e della massime autorità civili e militari.

Nell’arco dei 24 anni la Chiesa del SS. Salvatore è diventata un’opera d’arte, per le tante opere connesse e riprogettate dal caro amico Arch. Renato Laganà, che offre il disegno dell’altare sul quale celebrò Giovanni Paolo II a Reggio il 12 giugno 1988.

In seguito la Conferenza Episcopale italiana ha dato altri finanziamenti, vi fu un concorso importante e partecipativo dei fedeli e di altri benefattori in un’organizzazione che fu capillare e fortemente defaticante sia da un punto di vista economico che imprenditoriale.

Come Committente dell’opera, ho ideato le ampie vetrate istoriate, il Mosaico del SS. Salvatore e la Cappella Mariana del Perdono e, soprattutto del Santissimo Sacramento.

Il marmo “Calacatta” con venatura violetta adorna l’altare, la sedia della presidenza ed il presbiterio.

Il segno della Divina Provvidenza, come negli altri luoghi dove sono stato, e che mai mi ha abbandonato, è stata la Madre della Provvidenza.

 Un’opera architettonica e caritatevole, quella del Santissimo Salvatore, che ho inaugurato, per un segno prodigioso ma anche per la mia attenta solerzia, l’8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione.

Ora, come Canonico del Capitolo della Cattedrale Metropolitana, che si pregia per i canonici del titolo di “Protonotari Apostolici soprannumerari, sono Rettore della Chiesa di Sant’Anna.

Il restauro della Chiesa di Sant’Anna

Il restauro della Chiesa di Sant’Anna è dell’8 dicembre 2013 dopo un anno dal mio ingresso.

Il Comune di Reggio Calabria ha dato vita al restauro della piazza adiacente alla Chiesa di Sant’Anna e valorizzando, così, anche il Sagrato, che misura 150 metri lineari.

Nella piazza è stata realizzata una stele che rappresenta Sant’Anna con Maria Bambina.

1 Dice il Signore: “Chi vuol stare con me rinunci a sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. L’immagine che è in effigie è proprio la mia, appoggiata ad una croce fatta per una foto, dentro ombre cinesi, quasi per gioco. Tuttavia, l’immagine che volli in questa posa, rappresentata l’icona del mio diaconato che era servizio di Dio ed all’uomo. Dopo quaranta anni di Sacerdozio questa immagine che servii per il diaconato, divenne la sintesi del mio sacerdozio. Salire con Gesù sulla sua Croce, si sopportano e si offrono anche le nostre croci.